da Pietro Guzzo
Ho scritto questo pezzo, qualche anno fa, quando uscivamo dalla pandemia. Oggi lo condivido (con-divido) in questo blog per ricordare insieme (con-memorare) seguendo le parole di Sandro Pertini: “Ai vecchi perchè ricordino, ai giovani perchè sappiano quanto cosa riconquistare la libertà perduta”
Negli ultimi tempi, come per il negazionismo della Shoa, si assiste alla discriminazione/contestazione sistematica dei valori della Resistenza, spesso dimenticando che il CLN (Comitato di Liberazione Nazionale) era composto da tutte le forze democratiche di allora unite contro il fascismo e che quella lotta rappresenta il DNA/codice genetico della nostra costituzione; oggi diventa un tabù anche la canzone simbolo “Bella Ciao“ che viene invece cantata in tutto il mondo come inno alla liberazione dall’oppressione.
Ho avuto il privilegio/fortuna/sorte di nascere in una di quelle famiglie contadine e patriarcali dove convivevano sotto lo stesso tetto più nuclei familiari e la solitudine era sconosciuta. I miei genitori e i miei zii, appartenenti alla passata generazione, avevano vissuto in prima persona la tragedia della 2da guerra mondiale e la mia infanzia è stata permeata del racconto delle loro esperienze.
Ricordo le storie di chi era stato in Africa nella battaglia di El Alamein e successivamente, fatto prigioniero dagli inglesi e deportato a Città del Capo. Un altro era reduce dalla campagna di Russia (tragedia raccontata anche nei libri “Il sergente nella neve” di Mario Rigoni Stern e “Centomila gavette di ghiaccio” di Giulio Bedeschi). Poi qualcuno era ritornato alcolizzato dopo cinque lunghi anni di guerra dalla ex-Jugoslavia.
E infine mio padre, poco più che ventenne, militare nella Napoli martoriata dai bombardamenti alleati e poi lasciato allo sbando da quella che fu la tragica farsa dell’8 settembre 1943, che lasciò in balia dei nazifascisti l’intero esercito italiano.
Ma il racconto che mi ha colpito di più è quello di un ex-partigiano:
“Vivevo alla macchia nelle campagne di Cà Tron, i nostri capi del CNL ci arringavano/educavano dicendoci: quando tutto questo sarà finito, avremo una società libera, democratica senza discriminazioni dove tutti potranno esprimere le loro idee.
“Per me quelle parole erano incomprensibili, perché quello che animava la nostra lotta era semplice ribellione istintiva, voglia di giustizia verso la violenza e la brutalità delle truppe tedesco-naziste con la complicità implicita dei fascisti italiani che si ritorceva contro i connazionali.
Basti solo pensare al senso della fucilazioni di alcuni nostri compagni in piazza a Casale sul Sile il 4 aprile 1945 a soli 20 giorni dalla Liberazione, quando si sapeva già quale sarebbe stato l’esito della guerra. Quando tutto finì, vivendo la nuova stagione, ho compreso il senso di quelle parole e quindi il valore della guerra di Liberazione”.
A guerra finita, distruzione e desolazione regnavano ovunque, non vi era famiglia in cui non ci fosse un lutto, ma ai sopravvissuti di quella generazione, alla quale era stata rubata la giovinezza, stanchi di tanta violenza, non restava che ripartire, ricostruire ritrovando la solidarietà e la coesione sociale fra molteplici difficoltà. Vi furono il referendum, che istituì la Repubblica e abolì definitivamente la monarchia, e la successiva promulgazione della Costituzione.
Questa è la storia che non si può negare né confutare. La testimonianza diretta avuta dai sopravvissuti (rimasti pochi), se da un lato rafforza le nostre convinzioni, dall’altro pone il problema che il ricordo non venga meno nelle nuove generazioni.
Calamandrei consigliò un pellegrinaggio dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nelle montagne dove combatterono, nelle piazze in cui furono impiccati, solo così la nostra Costituzione si ravviva.